Vol. 23, n. 2, maggio 2024

Ines Guerini,2Virginia Benedetti3 e Monica Neccia4

Sommario

Il presente contributo intende descrivere la vita e il pensiero di Ovide Decroly, pedagogista belga vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, annoverato tra i principali esponenti dell’attivismo pedagogico. Una riflessione, la sua, che parte dalla necessità che il bambino apprenda muovendosi liberamente nella natura piuttosto che seduto tra le mura di un edificio scolastico. Grande oppositore del metodo educativo tradizionale, attraverso il lavoro che svolgerà con bambini e bambine con disabilità nella Scuola dell’Ermitage da lui stesso fondata, Decroly ideerà il cosiddetto metodo globale secondo cui la conoscenza avviene attraverso tre fasi (l’osservazione, l’associazione e l’espressione) e mediante un procedimento che dal globale giunge al particolare. Secondo Decroly, inoltre, l’attività pedagogica dovrebbe basarsi sulle curiosità che il bambino manifesta e che l’insegnante può scorgere mediante l’osservazione. Quest’ultima è da compiersi attraverso il Dossier medico-pedagogico, uno strumento che racchiude informazioni circa la situazione educativa e bio-psico-sociale dell’alunno e che, a nostro avviso, insieme a tutto il suo pensiero pedagogico, fanno di Decroly un pioniere del PEI su base ICF.

Parole chiave

Decroly, Attivismo pedagogico, Approccio bio-psico-sociale, PEI, Inclusione.

PIONEERS

Ovide Decroly: A Pioneer of ICF-Based IEP5

Ines Guerini,6Virginia Benedetti,7 and Monica Neccia8

Abstract

This paper aims to describe the life and thinking of Ovide Decroly, a Belgian pedagogist who lived at the turn of the 20th century and is counted among the main exponents of pedagogical activism. His is a reflection that departs from the need for children to learn by moving freely in nature rather than sitting within the walls of a school. A great opponent of the traditional educational method, through his work with disabled boys and girls at the Hermitage School, which he founded, Decroly devised the method known as the global method, according to which knowledge takes place over three stages (observation, association and expression) and through a process that leads from the global to the particular. According to Decroly, pedagogical activity should also be based on the curiosities that the child manifests and that the teacher can discern through observation. The latter is to be done using the medical-pedagogical dossier, a tool that contains information about the pupil’s educational and bio-psycho-social situation and which, in our opinion, together with all his pedagogical thinking, makes Decroly a pioneer of ICF-based IEP.

Keywords

Decroly, Pedagogical activism, Bio-psycho-social approach, IEP, Inclusion.

Il bambino ha spirito di osservazione:

si tratta di non ucciderlo...

(Ovide Decroly)

Premessa

L’intento con cui ci si appresta solitamente alla ricostruzione delle vicende biografiche di figure importanti del passato, quali quelle dei pedagogisti e delle pedagogiste dei secoli scorsi, è quello di riportare alcuni aspetti della loro vita perché si ritiene che — interessandosi alla persona (e alla personalità) — il proprio pensiero possa più facilmente diffondersi e, al contempo, chiarire quello che vi è dietro come sostrato emotivo-culturale. Due le ragioni per cui ciò accade: la prima ha a che fare con un semplice meccanismo di immedesimazione nello/a studioso/a di cui si sta tratteggiando la biografia; la seconda chiama in causa una più complessa elaborazione, che induce lettori e lettrici a guardare alle grandi opere in maniera demitizzata rispetto a chi le ha prodotte.

Generalmente la ricostruzione di un profilo biografico comporta la cernita di materiali così come la scelta dell’impiego delle fonti, che nel caso di Decroly — come documentano Depaepe, Simon e Van Gorp (2022a) — sono contenuti nel centro studi decrolyani, ubicato nella città di Uccle.

Nel centro studi si trovano, tra gli altri documenti, numerosi appunti e manoscritti che, sebbene incompleti e frammentari, sono rappresentativi di un uomo che annotava freneticamente le sue idee su qualsiasi supporto e in qualsiasi luogo.

In generale, per raccontare la vita di Decroly abbiamo guardato alle biografie pubblicate negli ultimi venti anni, con particolare riferimento al volume di Goussot del 2004. Come emergerà dalla lettura del contributo, il grande patrimonio culturale del Belgio e il forte attaccamento all’ambiente naturale hanno significativamente influenzato la vita di Ovide Decroly e, al contempo, sono stati per noi fondamentali nel tracciarne la descrizione biografica e nel guidarci nella comprensione della sua opera.

Ovide Decroly: un breve profilo biografico

Il 23 luglio del 1871 nasce Jean Ovide Decroly, registrato presso l’anagrafe di Ronse (Renaix, secondo la dizione francese), nella regione belga della Fiandra orientale. Il comune di Ronse è definito a facilitazione linguistica e registra come prima lingua parlata il fiammingo, pur presentando (come tutto il Belgio in generale) una composita coesistenza di gruppi linguistici e religiosi che, lungo i secoli, hanno contribuito a caratterizzare l’identità dei cittadini e delle cittadine.

La famiglia di Decroly appartiene alla piccola-media borghesia locale; suo padre, Jean-Baptiste-Etienne Decroly, è un fabbricante di tessuti di fede battista e si dedica assiduamente al suo grande giardino, provando a trasmettere la passione per la natura anche ai figli (Van Gorp, Simon e Depaepe, 2022).

Sua madre, Justine-Aimée-Louise Soret (originaria di Ronse), al momento della nascita di Ovide ha 30 anni e si occupa della casa così come della cura della figlia Armande e dell’altro figlio Raphaël.

Come riporta Goussot (2004),9 l’infanzia di Decroly è caratterizzata da interessi e curiosità che, purtroppo, non trovano riscontro nel percorso scolastico infantile da lui effettuato. Difatti, Decroly non percepisce un clima stimolante nella scuola, specie negli studi superiori in cui prevale un distacco tra le materie di studio e l’esperienza di vita. Tuttavia, pur avvertendo tali criticità nel sistema educativo, nel 1898 riesce a laurearsi in Medicina e a specializzarsi poi in Neuropsichiatria (Bocci, 2011). Al contempo, la travagliata esperienza scolastica costituirà, come vedremo più avanti, il punto da cui partire per ideare un approccio pedagogico fino ad allora non ancora impiegato.

Gli anni successivi al conseguimento del titolo accademico incrementano la passione per la ricerca nel pedagogista, che, infatti, si trova a collaborare con diversi docenti presso le Università di Berlino e Parigi. Proprio a Parigi Decroly segue le lezioni di Raymond presso l’ospedale universitario di Salpêtrière e ha l’occasione di conoscere Jouffroy grazie alla frequentazione dell’Asilo clinica Sant’Anna. Di questo abbiamo testimonianza attraverso la corrispondenza raccolta presso il centro studi decrolyani della città di Uccle.

Le competenze di Ovide Decroly, come evidenziano le note dei docenti e le sue prime pubblicazioni, si specializzano nell’anatomia e nell’istologia patologica. Nel 1900 diviene assistente a Bruxelles presso il Politecnico di Eperonniers, occupandosi di terapia riabilitativa nel reparto di otorinolaringoiatria per bambini con afasia, sordità e balbuzie (Goussot, 2004).

In seguito a questa esperienza — vivendo direttamente i limiti di un’istituzione quale è quella dell’ospedale — decide di portare nella sua abitazione privata alcuni dei fanciulli ricoverati presso il reparto.

È attraverso questa scelta che si comincia a scorgere il profilo di una figura dotata di grande etica, che — non per bieco umanitarismo, ma per spirito di abnegazione e dedizione — rende la sua casa un vero centro educativo speciale e non un ricovero.

Tre sono le persone che ispirano Decroly a proseguire il lavoro intrapreso nell’ambito del servizio neuropsichiatrico a Bruxelles. Stiamo parlando dei dottori Demoor, Heldrickx e Glorieux, grazie ai quali inizia a interessarsi all’educazione e alla rieducazione dei fanciulli irregolari, con l’intento di fondare una scuola speciale (Santomauro, 1964). Gli interessi di Ovide Decroly iniziano così a orientarsi sempre più dalla Medicina alla Psicologia e alla Pedagogia.

Per ciò che concerne la vita privata di Decroly (che, nel ricostruire gli incontri e le esperienze legati alla vita accademica e professionale, abbiamo momentaneamente accantonato), è importante ricordare che nel 1898 si sposa (nella sua città natale) con Marie Agnès Jeanne Gilberte Guisset, detta Agnès, da cui avrà tre figli che cresceranno insieme ai ragazzi dell’Eperonniers.

Nell’arco di cinque anni la casa diviene, grazie all’aiuto di Agnès Guisset e ai metodi ideati da Decroly, una vera e propria École pour enfants irréguliers (Scuola per fanciulli irregolari).

Nel frattempo, tra il 1902 e il 1904, Decroly riceve l’incarico di medico-ispettore della città di Bruxelles; grazie a tale incarico approfondisce la conoscenza dei bambini e delle bambine, specie dei figli della classe del proletariato e sottoproletariato urbano. Fino a quel momento l’esperienza di Decroly con l’infanzia era stata limitata ai giovani pazienti degli ospedali da lui visitati, che necessitavano di rieducazione e riabilitazione. L’incarico, inoltre, gli consente di conoscere un gran numero di docenti, i quali — grazie alla diffusione del suo metodo — ravvivano il desiderio di formazione, l’impegno e l’entusiasmo per il loro lavoro (Goussot, 2004).

Nel 1907 prende forma l’École de l’Ermitage, il cui nome viene dalla via (Rue de l’Ermitage) in cui la scuola avrà sede fino al 1910. All’interno di essa sono accolti bambini e bambine dai 4 ai 14 anni (Bocci, 2011). Lo spostamento ad Uccle tanto dell’École de l’Ermitage quanto dell’École pour enfants irréguliers è dovuto a motivazioni legate al benessere degli alunni e delle alunne, che hanno così l’occasione di evadere dallo spazio insalubre della città industriale, quale è Bruxelles agli inizi del Novecento, per andare a formarsi in un’area confinante con la foresta di Soignes.

All’interno dell’Ermitage si avvicenderanno diverse insegnanti, tra cui è opportuno ricordare Julie Degand e Eugénie Monchand, che affiancano e coadiuvano i coniugi Decroly nella gestione della didattica e dell’organizzazione della scuola. Degand nel 1933 rievoca, all’interno di una testimonianza nel volume Hommage à Decroly, i primi anni di vita all’École de l’Ermitage come quelli dagli intenti più eroici in cui si realizzano numerose iniziative sfidanti e (per certi versi) avanguardistiche come, ad esempio, la redazione del giornale scolastico (Santomauro, 1964).

Se nei primi anni la scuola accoglie studenti e studentesse fino a 14 anni, durante la Prima Guerra Mondiale, Decroly porta un gruppo di allievi/e sino al termine degli studi secondari; operazione che ripete negli anni successivi, portando stabilmente l’Ermitage a comprendere tutte le classi dai 4 ai 18 anni. A tal proposito, va certamente menzionato l’accresciuto interesse del pedagogista belga nei confronti dei ragazzi e delle ragazze più grandi, senza tuttavia mai sottovalutare l’importanza dell’insegnamento primario poiché, come lui stesso afferma, «è alla base di tutto l’edificio dell’educazione» (Decroly e Boon, 1969, p. 6).

Ovide Decroly mantiene vivo il suo impegno a livello accademico, divenendo nel 1905 docente di Psicopedagogia presso l’Università Libera di Bruxelles e fondando la Società di Pedotecnica,10 per la quale si occupa della dimensione ideale e della componente economica, finanziando progetti e organizzando le prime riunioni tra i membri.

Decroly trascorre gli anni precedenti allo scoppio della Grande Guerra partecipando a convegni11 e dando vita a diverse iniziative in cui promuove i principi dell’educazione attiva. Dal 1914, ricevuta la nomina di Presidente del Centro degli orfani, inizia a occuparsi di quei giovani che, a causa del conflitto mondiale, perdono i genitori ed esperiscono una quotidianità altamente traumatica. Difatti, il territorio del Belgio è tra quelli in Europa in cui si combatte più a lungo e più aspramente durante la Prima Guerra Mondiale. Il contatto con gli aspetti traumatici, provocati dal conflitto, spinge Decroly ad approfondire le sue conoscenze sullo sviluppo psicologico, cercando di intercettare tutte le possibilità educative e rieducative (Goussot, 2004). I ruoli che ricopre come docente dell’École Normale e dell’Istituto superiore di Pedagogia lo porteranno, alla fine della guerra, a rivendicare in un intervento pubblico l’urgenza della comunità di partecipare attivamente alla formazione dei cittadini e delle cittadine più giovani.

Al termine della guerra, la scuola dell’Ermitage ha ormai ampliato il numero di alunni/e e insegnanti e riceve alcuni riconoscimenti da parte dello Stato belga (Santomauro, 1964).

L’operato e le teorizzazioni di Decroly (che affronteremo più diffusamente nel prossimo paragrafo) contribuiscono alla redazione del Piano di Studi per le scuole elementari belghe, che porta a un’ampissima diffusione dei principi pedagogici decrolyani. Tuttavia, tale piano verrà redatto solo dopo la morte del pedagogista (Goussot, 2004). Quest’ultima sembra testimoniare a favore della sua caparbietà. Nonostante, infatti, nel 1930 sia obbligato a trascorrere molti mesi in casa per via delle sue condizioni di salute, ritroverà lo slancio per dedicarsi alle sue occupazioni principali, fino a essere poi colto — nel settembre del 1932 durante una delle sue passeggiate mattutine nel giardino dell’Ermitage — da un malore che gli sarà fatale (Santomauro, 1964).

Il Dossier medico-pedagogico e i centri d’interesse

L’influenza del pensiero decrolyano nella prassi scolastica belga ha fatto sì che il metodo e l’attitudine del pedagogista venissero conosciuti e apprezzati anche nel resto del mondo. Santomauro (1964) e successivamente anche Arce Hai et al. (2016) ricostruiscono i numerosi viaggi fatti da Decroly e dalla cerchia dei suoi collaboratori e delle sue collaboratrici, specie nei Paesi dell’America Latina.12 La diffusione delle idee decrolyane circa l’educazione riguarda anche in parte l’area asiatica: infatti, abbiamo traccia della visita all’École de l’Ermitage da parte di alcuni docenti delle università giapponesi che pubblicarono un volume riportante le loro impressioni sulla scuola.

Ed è esattamente nella Scuola dell’Ermitage che si realizza l’azione pedagogica di Decroly. In proposito, scrive Goussot (2004, p. 22):

È proprio nello studio degli «irregolari» che Decroly impara a conoscere lo sviluppo psicologico del bambino e soprattutto a costruire i metodi per facilitarne il processo di crescita. Molto realisticamente afferma che «il bambino non è ciò che vogliamo ma ciò che può»; sta all’insegnante, all’educatore saper osservare l’attività del bambino attraverso l’attività didattica o educativa; saper osservare le sue potenzialità e aiutarlo a esprimersi.

Quella proposta da Decroly è un’osservazione costante e continuativa del fanciullo che è in grado di restituirne un quadro generale a cui non devono seguire le classificazioni diagnostiche, bensì un intervento pedagogico che tenga conto di quanto osservato. Infatti, nonostante la formazione medica, Decroly rifiuta le classificazioni diagnostiche, poiché costituiscono una visione oggettiva ma al contempo statica dell’individuo che «rischia di essere categorizzato, quindi pietrificato, nelle manifestazioni della sua condizione che lo rendono tipico» (Bocci, 2011, p. 190).

L’osservazione, secondo il pedagogista belga, deve prevedere l’utilizzo del Dossier medico-pedagogico, uno strumento che «raccoglie una serie di informazioni sullo stato bio-psico-sociale e educativo del soggetto» (Bocci, 2011, p. 194) e che è articolato in cinque parti: ambiente fisico, familiare e sociale; precedenti e stato attuale dei genitori; precedenti e stato attuale dei fratelli e delle sorelle; precedenti del fanciullo e stato attuale del fanciullo (tabella 1).

In questa sede abbiamo scelto (anche per ragioni di spazio) di concentrarci sui precedenti del fanciullo, più precisamente sugli aspetti scolastici e, dunque, sugli interessi. Seguendo quanto teorizzato da Johann Friedrich Herbart, Decroly ne identifica tre tipi: empirico (vale a dire, proveniente dalla diretta osservazione delle realtà percepibile), speculativo (ossia, il bisogno di comprendere e cercare connessioni di causa-effetto) ed estetico (nutrito dall’ammirazione per la bellezza presente nella natura, nell’arte o nelle azioni etiche).

Tabella 1

Dossier medico-pedagogico (adattato da Goussot, 2004, pp. 34-35)

Parti costitutive del Dossier medico-pedagogico

Aspetti su cui focalizzare l’attenzione

Ambiente fisico, familiare e sociale

  • aspetti fisici (igiene e alimentazione)
  • aspetti intellettuali (idee e conoscenze)
  • aspetti affettivi o morali (educazione ricevuta e abitudini)

Precedenti e stato attuale dei genitori

  • madre e padre (età, professione, malattie, infortuni, istruzione, moralità e educazione ricevuta)
  • informazioni sui nonni e sui parenti collaterali

Precedenti e stato attuale dei fratelli e delle sorelle

  • numero di fratelli e/o sorelle
  • età
  • eventuali fratelli/sorelle morti/e
  • occupazioni
  • malattie, anomalie e trattamenti seguiti
  • profitto scolastico e professionale

Precedenti del fanciullo

  • aspetti fisici: nascita, allattamento, prima dentizione, manualità e deambulazione, incontinenza, malattie, complicazioni, ricadute, infortuni
  • aspetti intellettuali: sviluppo della capacità linguistico-espressiva, scuole frequentate, profitto
  • aspetti affettivi: giochi, curiosità, difetti, qualità, paura, menzogna, golosità, pigrizia e timidezza
  • aspetti scolastici: abilità, interessi

Stato attuale del fanciullo

  • esame fisico
  • esame sensoriale
  • esame motorio
  • esame intellettuale

Gli interessi, secondo il pedagogista belga, vanno sollecitati in quanto «tutto ciò che provoca la curiosità può essere considerato come suscitatore di interesse e tutto ciò per cui abbiamo interesse stimola la curiosità» (Goussot, 2004, p. 72). Questo concetto deve essere alla base del percorso educativo e Decroly lo sintetizza nel noto metodo dei centri d’interesse: partendo da un interesse (o più di uno) che il bambino manifesta, deve essere creato un percorso d’apprendimento che faccia leva sulla sua curiosità e che per un certo periodo di tempo costituirà il «centro» dell’attività educativa. Così facendo, non c’è frammentazione delle nozioni, né distinzione tra le varie discipline che (come accennato nel paragrafo precedente) hanno segnato negativamente l’esperienza scolastica del pedagogista belga. Di contro, l’apprendimento — che deve avvenire all’aperto, nella natura,13 piuttosto che in aula — si basa sull’osservazione spontanea di situazioni e oggetti concreti (in grado di suscitare curiosità nell’infante) ed è seguito da altre due fasi: l’associazione e l’espressione. Queste ultime due insieme all’osservazione costituiscono il cosiddetto trittico decrolyano che regola, per l’appunto, l’apprendimento. Mediante l’associazione bambini e bambine riescono a rapportare l’osservazione compiuta alla conoscenza di quanto osservato e attraverso l’espressione danno, invece, dimostrazione di quanto hanno appreso (Avalle e Maranza, 2016).

È il caso di sottolineare che i centri d’interesse «non sono, come spesso si è interpretato, il fine della pedagogia decrolyana [...], ma il mezzo con cui far esprimere i fanciulli e di qui comprenderne la personalità» (Valeri, 1929, cit. in Goussot, 2004, p. 71). Un’intuizione che è particolarmente significativa da seguire per l’educazione di alunni e alunne con disabilità, anche in vista del loro futuro professionale di cui troviamo traccia nelle riflessioni operate da Decroly e su cui torneremo nel prossimo paragrafo.

«L’individuazione dei centri di interesse da parte dell’educatore rappresenta dunque il primo passo verso la comprensione delle strutture globali entro le quali l’allievo organizza la propria esperienza della realtà» (Avalle e Maranzana, 2016, p. 58). Le parole degli autori ci spingono verso un’ulteriore riflessione operata da Decroly che ha a che fare con la modalità con cui si apprende: non analitica (ossia, dal particolare al generale), bensì globale e che regola l’apprendimento tanto della lettura quanto della scrittura. Si tratta del cosiddetto metodo ideo-visivo che il pedagogista belga ha modo di sperimentare con i bambini «sordomuti»14 e balbuzienti e che ha ragione di credere possa essere esteso a tutti i bambini. Difatti, Decroly sostiene che l’esperienza infantile del mondo sia globale: «la mamma si presenta al fanciullo tutta intera e non nei dettagli» (Avalle e Maranza, 2016, p. 58) e non parla al bambino né con monosillabi né con singole parole, ma usando frasi e questo aspetto coinvolge anche il linguaggio. Il metodo ideo-visivo consente infatti di leggere, trasportando nel linguaggio cose osservate e vissute.

Seguendo tale metodo, quindi, l’insegnamento della letto-scrittura «dovrebbe partire dalla frase — che deve possedere un valore e un significato nel vissuto del bambino — anziché dallo studio dell’alfabeto, delle lettere e poi delle sillabe per giungere alla parola e infine alla frase» (Bocci, 2011, p. 192). Secondo Decroly, è davvero importante che l’insegnamento si basi su questa modalità naturale di apprendere attraverso cui i bambini e le bambine sono in grado di giungere «dal concreto all’astratto, dal semplice al composito, dal noto all’ignoto» (Goussot, 2004, p. 81).

Decroly: un precursore dei nuovi modelli di PEI

Quanto finora delineato ci induce a vedere Ovide Decroly come una figura estremamente attuale in ambito educativo e, in particolare, pensiamo all’educazione degli studenti e delle studentesse con disabilità per almeno tre ragioni (tra di esse collegate). La prima ragione è relativa all’importanza assegnata da Decroly all’osservazione quale strumento di conoscenza e di intervento educativo (Bocci, 2011) piuttosto che di mera classificazione diagnostica, giacché lo studioso belga «suggerisce di non identificare deficit e disabilità, in quanto la seconda è spesso il prodotto del contesto sociale e della situazione psico-affettiva» (Goussot, 2004, p. 30).

L’osservazione, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, deve essere compiuta mediante il Dossier medico-pedagogico che fa di Decroly non solo un vero e proprio precursore dell’approccio bio-psico-sociale ma anche — come recita il titolo del nostro contributo — un pioniere dei nuovi modelli di PEI (basati, per l’appunto, sull’approccio ICF). Vediamone i motivi.

In primo luogo, l’attenzione sui precedenti e sullo stato attuale del fanciullo, così come quella sull’ambiente fisico, familiare e sociale, consente di affermare che il Dossier sembra essere un antesignano della Diagnosi Funzionale e del Profilo Dinamico Funzionale, che sono ora confluiti nell’attuale Profilo di Funzionamento previsto dai nuovi modelli di PEI. Infatti, tanto la Diagnosi Funzionale quanto il Profilo Dinamico Funzionale restituiscono un quadro delle capacità dell’individuo in relazione agli assi cognitivo, affettivo-relazionale, motorio-prassico, sensoriale, linguistico, neuro-psicologico e dell’autonomia. In particolare, la Diagnosi Funzionale (a cura dell’Unità di Valutazione Multidisciplinare) riporta indicazioni circa le potenzialità e i deficit della persona relativamente alle dimensioni: cognitiva, affettivo-relazionale, linguistica, sensoriale, motorio-prassica, neuro-psicologica e dell’autonomia personale e sociale. Il Profilo Dinamico Funzionale descrive, invece, il funzionamento dell’alunno/a osservato in contesti diversi — e da parte dei differenti enti che interagiscono con lui/lei: la famiglia, la scuola e i servizi specialistici — nelle seguenti aree: cognitiva, affettivo relazionale, comunicazionale, linguistica, sensoriale, motorio-prassica, neuropsicologica, dell’autonomia e dell’apprendimento.

In secondo luogo, gli aspetti affettivi e scolastici (compresi sempre nei precedenti del fanciullo) fanno direttamente intravedere in Decroly alcune sezioni dei nuovi modelli di PEI. Pensiamo, ad esempio, al Quadro informativo (sezione 1) che è da compilarsi a cura dei genitori (o di chi ne esercita la responsabilità genitoriale) e fornisce indicazioni circa la situazione familiare e una descrizione dell’alunno/a15 relativa ai suoi punti di forza, alle proprie caratteristiche (compresi i comportamenti problema), alle relazioni instaurate con i propri familiari e ai suoi interessi (hobby, attività quotidiane, ecc.).

Gli interessi degli alunni e delle alunne — da cui secondo Decroly l’insegnante deve iniziare a costruire un percorso educativo — costituiscono a nostro avviso la seconda ragione per cui consideriamo il pedagogista belga un pioniere del PEI su base ICF e questo perché gli interessi sono estremamente connessi (o andrebbero sempre connessi) alla più ampia questione relativa all’orientamento professionale, di cui nel PEI troviamo traccia alla sezione 8 e su cui, tra l’altro, lo stesso Decroly si era espresso. A tal proposito, lo studioso riteneva che formare professionalmente i ragazzi con disabilità fosse importante tanto dal punto di vista delle autonomie quanto da quello sociale, giacché il lavoro crea legami sociali (Canevaro, 2004).

Secondo Decroly (1925), l’orientamento professionale rappresenta «il coronamento di tutti gli sforzi tesi a preparare il fanciullo tardivo a entrare nella vita» (cit. in d’Alonzo, 2008, p. 143) ed è necessario che la scuola stessa se ne occupi in quanto orientare professionalmente alunni/e con disabilità è una questione complessa che chiama in causa diversi fattori (d’Alonzo, 2008). Innanzitutto, la persona stessa che ha le proprie caratteristiche e, dunque, potrebbe avere un numero più o meno ristretto di future possibilità lavorative. In secondo luogo, il contesto familiare che non sembra essere sempre incline a proseguire verso l’orientamento e l’educazione che le attitudini dell’alunno/a suggeriscono di seguire. In terzo luogo, l’ambiente sociale e, in particolare, quello lavorativo dove è elevato il numero di apprendisti (oggi diremmo dove è alto il numero di persone in cerca di prima occupazione). Infine, le ristrette opportunità di apprendistato e, dunque, di preparazione professionale che gli enti locali offrono.

Secondo Decroly, dunque, l’orientamento professionale «svolge una funzione decisiva per costruire un progetto individualizzato corrispondente ai bisogni, alle capacità del ragazzo disabile» (Goussot, 2004, p. 42) e deve tenere conto delle potenzialità della persona, del proprio contesto familiare, del contesto sociale, delle condizioni del mercato lavorativo e delle opportunità locali per l’apprendimento professionale. Aspetti, questi, che la scuola oggi è chiamata a prendere in considerazione nel momento in cui si trova a individuare — e a indicare nel PEI — esperienze di Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO) per gli studenti e le studentesse con disabilità. A tal proposito, vale la pena ricordare le parole di Andrea Canevaro che invita educatori/educatrici e insegnanti a cercare «il punto di riferimento nel soggetto per ridefinire continuamente, a partire dai segni colti dal comportamento e dalle attitudini di colui di cui si deve occupare, un proprio progetto educativo» (Canevaro, 2004, p. 10).

Affinché tutto questo possa realizzarsi, sono necessarie altre due condizioni. La prima è che gli/le insegnanti devono avere una visione prospettica dell’alunno/a con disabilità; in altri termini, non devono fermarsi alla visione della sola situazione attuale (talvolta complessa) dell’allievo/a, poiché questa potrebbe erroneamente ostacolarli/e nella costruzione di un percorso educativo volto alla realizzazione di un più ampio progetto di vita. Seguendo Ianes, ci piace affermare che «un buon PEI è anche strabico, perché guarda al percorso dello studente con disabilità attraverso una compresente e divergente ottica: da un lato il qui e ora delle attività educativo-didattiche di questo anno scolastico, dall’altro lo sguardo lungo e prospettico del Progetto di vita, del divenire adulti in una vita il più possibile realizzata e indipendente» (Ianes, 2021, p. 10). La seconda condizione necessaria affinché possa essere costruito un progetto educativo efficace, senza vanificare gli sforzi compiuti dagli/dalle insegnanti, è la presenza di una rete scuola-famiglia-enti territoriali.

Giungiamo, così, alla terza ragione che ci fa intravedere in Decroly un precursore del PEI basato sull’approccio bio-psico-sociale. Lo stesso pedagogista scriveva: «per preparare il fanciullo irregolare alla vita è necessario:

  1. porre il fanciullo in un ambiente capace di stimolare e di conservare le attività necessarie al suo adattamento all’ambiente nel quale dovrà vivere da adulto;
  2. proporzionare il fine che si vuole raggiungere alle capacità fisiche e mentali dell’individuo» (Decroly, 1925, cit. in d’Alonzo, 2008, p. 36).

Ciò significa che il lavoro sinergico tra famiglia, scuola e servizi territoriali che — in quanto educatrici/educatori e insegnanti — siamo chiamate/i a fare, lo dobbiamo proprio in ragione del pensiero educativo di Decroly, il quale, pionieristicamente (si è detto), nella determinazione della disabilità ha attribuito importanza al contesto (familiare e sociale) senza fermarsi alla lettura della componente biologica dell’individuo, onde evitare che il deficit non solo determinasse la disabilità dell’alunno/a, ma ne condizionasse anche la vita futura.

Conclusioni

Nel presente contributo abbiamo inteso tracciare una descrizione biografica di Ovide Decroly, restituendo al contempo il suo pensiero pedagogico e motivando le ragioni per cui lo consideriamo un pioniere del PEI su base ICF.

Da quanto discusso emerge come l’intento generale dello studioso belga (ossia quello di conoscere e occuparsi dei ragazzi e delle ragazze con disabilità) ha permesso di comprendere meglio i meccanismi per cui si rendeva (e si rende tutt’ora) evidente e necessario apportare delle modifiche al sistema d’istruzione tradizionale (Decroly e Boon, 1969). Una scuola basata sulla separazione disciplinare, si è detto, non solo disinteressa gli allievi/le allieve — che nella netta distinzione contenutistica non vedono attinenza con la vita reale — ma non rispecchia neppure il loro sviluppo. Alunni e alunne, infatti, nel pensiero decrolyano arrivano a scuola con un proprio patrimonio culturale — frutto dell’esperienza vissuta con la madre (con la famiglia, diremmo oggi) — che andrebbe «risvegliato» via via mediante un apprendimento ecologico che, purtroppo, ancora oggi fatica a trovare seria applicazione a scuola.

Si tratta di un metodo globale che punta agli interessi degli alunni e delle alunne — che Decroly, abbiamo visto, ha avuto modo di sperimentare con fanciulli irregolari — e che ha gettato le basi per quella che è stata definita la pedagogia attiva di cui Decroly è riconosciuto in tutto il mondo come uno dei maggiori esponenti.

L’osservazione — e la descrizione delle caratteristiche dell’alunno/a con disabilità da parte della famiglia, degli/delle insegnanti e degli/delle operatori/operatrici che quotidianamente lo/la affiancano nel suo percorso di crescita — così come la conseguente focalizzazione nel processo di apprendimento sulle competenze, sulle attitudini, sui desideri e sugli interessi di chi apprende, fanno sì che il contesto educativo diventi uno spazio in cui ci si senta accolto/a e, dunque, partecipe e protagonista del proprio percorso evolutivo. Abbiamo visto come questi aspetti siano connessi alla questione lavorativa di coloro i/le quali presentano una disabilità e divengono, dunque, particolarmente significativi in quanto senza un lavoro (e ancor prima senza un orientamento professionale) è estremamente complesso (se non impossibile) immaginare una vita adulta e Decroly, tutto questo, lo aveva ben compreso e teorizzato già agli inizi del Novecento.

Bibliografia

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Bocci F. (2011), Una mirabile avventura. Storia dell’educazione dei disabili da Jean Itard a Giovanni Bollea, Firenze, Le Lettere.

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  1. 1 Il presente articolo è frutto di un lavoro congiunto e sinergico delle tre autrici. Al solo fine della riconoscibilità dei contributi personali, laddove richiesto, si chiarisce che sono da attribuire a Virginia Benedetti la Premessa e il paragrafo Ovide Decroly: un breve profilo biografico, a Ines Guerini sono da attribuire il paragrafo Decroly: un precursore dei nuovi modelli di PEI e le Conclusioni, a Monica Neccia va attribuito il paragrafo Il Dossier medico-pedagogico e i centri d’interesse.

  1. 2 Ricercatrice, Dipartimento di Scienze della Formazione, Università degli Studi Roma Tre.

  1. 3 Dottoressa in Scienze della Formazione Primaria, Università degli Studi Roma Tre.

  1. 4 Laureanda in Scienze della Formazione Primaria, Università degli Studi Roma Tre.

  1. 5 This article is the result of the joint and shared work of the three authors. In order to recognise personal contributions, where required, it should be noted that Virginia Benedetti wrote the Foreword and the paragraph Ovide Decroly: A short biographical profile, Ines Guerini wrote the paragraph Decroly: A pioneer in the new models of IEP and the Conclusions, Monica Neccia wrote the paragraph The medical pedagogical dossier and centres of interest.

  1. 6 Researcher, Department of Educational Sciences, Roma Tre University.

  1. 7 Graduate in Primary Education Sciences, Roma Tre University.

  1. 8 Graduating in Primary Education Sciences, Roma Tre University.

  1. 9 Nel ricostruire il profilo biografico del pedagogista belga, Goussot si serve della consultazione di V. Descordes, Le Jardin d’enfants à l’école Decroly, Bruxelles, Cireb, 1952.

  1. 10 È esattamente a Ovide Decroly che è riconducibile il termine pedotecnica con cui s’intende «l’insieme delle applicazioni pratiche derivanti dalla conoscenza degli elementi biologici, psicologici e sociali che concernono la vita del fanciullo» (11 Riferimenti dettagliati della partecipazione di convegni e altro si trovano in Van Gorp, Simon e Depaepe (2022).

  1. 12 Per un approfondimento dettagliato dei viaggi, si consiglia la consultazione di Santomauro (1964, pp. 29-30).

  1. 13 Data la grande importanza attribuita all’ambiente nel percorso d’apprendimento, il metodo di Decroly può essere definito ecologico. Al contempo, nell’amore del pedagogista verso la natura riconosciamo l’influenza paterna esercitata durante l’infanzia.

  1. 14 Il virgolettato indica la nostra scelta di utilizzare appositamente il linguaggio dell’epoca.

  1. 15 Nella scuola secondaria di II grado, in ragione del diritto delle persone con disabilità ad autodeterminarsi, gli stessi studenti/le stesse studentesse possono integrare la descrizione di sé mediante interviste e colloqui.

Vol. 23, Issue 2, May 2024

 

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